Anche per Biden il Venezuela è “emergenza nazionale”
Geraldina Colotti, Bricspsuv Italia
Come un bravo maggiordomo, l’Unione Europea ha aperto la porta al padrone di casa nordamericano, annunciandone l’arrivo mediante la seconda ronda di misure coercitive unilaterali contro il Venezuela, applicate la scorsa settimana. E ora ecco arrivare quelle di Biden, che estende per un altro anno l’ordine esecutivo emesso da Obama l’8 di marzo del 2015.
In quella data, il “primo presidente afro-statunitense della storia”, dichiarò il Venezuela “una minaccia inusuale e straordinaria per la sicurezza degli Stati Uniti”, aprendo la strada a tutto quel che sarebbe venuto dopo: un assedio permanente e multiforme iniziato, come ai tempi di Allende, col “far urlare l’economia”, proseguito con la persecuzione diplomatica e culminato con vere e proprie operazioni di pirateria internazionale, accompagnate da tentativi destabilizzanti dell’estrema destra a livello interno. Quanta sofferenza abbiano prodotto al popolo venezuelano lo hanno testimoniato le relazioni degli esperti indipendenti Onu, Alfred de Zayas e Alena Douha.
Douhan ha ricordato che le misure unilaterali sono da considerarsi legali solo se sono autorizzate dal Consiglio di Sicurezza Onu, o se si utilizzano come contromisure, se non violano nessun obbligo che lo Stato ha da assolvere e, soprattutto, “se non violano i diritti umani fondamentali”. Avendo constatato che tutte queste violazioni contro il Venezuela si sono verificate, ha invitato gli Stati Uniti e l’Unione Europea, principali responsabili delle sofferenze inflitte al popolo venezuelano, a ritirare le sanzioni. Invano, evidentemente.
Nella nota di protesta emessa ieri, con le parole del ministro degli Esteri Jorge Arreaza, il governo bolivariano ha ripreso gli argomenti di Douha allegando anche un comunicato, che così si conclude: “Il popolo venezuelano è libero e irrevocabilmente indipendente, non rappresenta, né rappresenterà mai una minaccia per gli Stati Uniti, né per nessun altro Paese del mondo, e continuerà a forgiare il suo destino, nonostante le aggressioni e ingerenze delle amministrazioni statunitensi”.
Il rapporto dell’esperta, che ha incontrato esponenti e organismi della società venezuelana di tutte le posizioni, conferma nei fatti le informative consegnate in questi anni dal governo bolivariano a tutte le istanze preposte, compresa la Corte Penale Internazionale, alla quale ha presentato una denuncia contro Donald. Il blocco economico-finanziario, che la relatrice Onu ha potuto constatare, ha prodotto seri danni allo sviluppo del paese, “con un effetto devastante su tutta la popolazione”.
Gli Stati Uniti, per la pressione interna delle lobby anti cubane e anti venezuelane della Florida, hanno iniziato a imporre sanzioni al Venezuela nel 2005. Nel 2014, sono stati presi di mira funzionari bolivariani accusati di reprimere le proteste dei “pacifici manifestanti” che stavano devastando il paese, e di negare la libertà di espressione. Il complemento era, come di prammatica, l’accusa di corruzione. Nel 2015, è arrivata la decisione di Obama, che ha dichiarato il Venezuela un’emergenza nazionale.
Una politica proseguita poi nel 2017 quando sono stati presi di mira il governo, le istituzioni e l’impresa petrolifera di Stato, PDVSA, alla quale venne bloccata la possibilità di effettuare transazioni e di aver accesso ai mercati finanziari statunitensi. Nel 2018, dopo le elezioni presidenziali e la riconferma di Maduro alla guida del paese, si è avuto un ulteriore inasprimento delle “sanzioni”, motivate da criteri di sfacciata ingerenza (“cattiva gestione economica”) e spiegazioni grottesche come quella di accusare Maduro di voler “scardinare” la democrazia mediante l’esercizio del voto popolare.
Anche la UE ha fatto la sua parte dal 2017, imponendo, tra l’altro, il divieto di viaggio a diversi funzionari venezuelani e il blocco delle finanze, in quanto considerati responsabili di “scardinare la democrazia, lo stato di diritto e il rispetto dei diritti umani”. Misure che, come ha sottolineato l’esperta Onu, colpiscono anch’esse il popolo, giacché impediscono ai suoi legittimi rappresentanti di svolgere le funzioni richieste presso gli organismi internazionali. Sulla stessa scia si sono posti altri paesi vassalli degli USA come Canada, Messico (prima del governo di Amlo), Svizzera, Panama e i 14 membri del cosiddetto Gruppo di Lima.
Grazie a tutti loro, una insignificante marionetta incapace di articolare un discorso come Juan Guaidó ha potuto intascarsi oltre 2.000 milioni di dollari erogati dagli Stati Uniti per loro esplicita ammissione. “In quale paradiso fiscale, in quale tasca sono finiti?”, ha chiesto il presidente Maduro durante una riunione del Consiglio dei Ministri per discutere le 34 leggi approvate dal Parlamento a maggioranza chavista.
Un esercizio democratico contro il quale si è nuovamente scagliata l’ingerenza degli USA e della UE, che si sono spinti fino a sanzionare anche i deputati dell’opposizione moderata venezuelana, eletti alle legislative del 6 di dicembre. Il governo bolivariano ha reagito espellendo l’ambasciatrice della UE, e la rappresentante del Venezuela a Bruxelles, Claudia Salerno è stata colpita dal principio diplomatico di “reciprocità”. In sua difesa, condannando la falsa “reciprocità” di un provvedimento innescato da un atto di grave ingerenza verso un paese sovrano, si sono pronunciati partiti, organizzazioni e movimenti che partecipano alla Rete Europea in difesa della rivoluzione bolivariana. La Rete ha respinto e condannato le misure coercitive unilaterali, richiamando la relazione di Alena Douha.
Ma nei confronti sia di Douha che di de Zayas è partita una campagna internazionale per screditarne la competenza. Per l’estrema destra venezuelana e per l’ipocrita Unione Europea che la sostiene, vanno considerate “indipendenti” solo le commissioni come quella messa in piedi dai loro beniamini con un avvocato cileno pinochettista accusato di aver coperto violazioni ai diritti umani. Le uniche elezioni “libere” che gli USA e la UE vorrebbero imporre in Venezuela sono quelle in cui vincono i loro rappresentanti, meglio se privi di concorrenti.
E, per questo, le sanzioni di Biden, il quale aveva anticipato di “non avere fretta” per un eventuale cambio di indirizzo con il Venezuela, sono state accompagnate dal solito rapporto della solita ONG per i diritti umani. In questo caso, si tratta di Freedom House, secondo la quale su 73 paesi, il Venezuela e il Nicaragua sarebbero rispettivamente al 5° e al 6° posto per passi indietro compiuti dalla democrazia.
Maduro, intanto, accompagnato dal ministro degli Esteri Jorge Arreaza, ha sostenuto un incontro virtuale con l’Alta rappresentante per i diritti umani all’ONU Michelle Bachelet, al cui ufficio è stato rinnovato il permesso di restare nel paese. Ma la destra continua a chiedere che venga definitivamente bloccato l’ossigeno al popolo venezuelano. Le agenzie stampa internazionali hanno ripreso la notizia della telefonata avuta da Guaidó sia con il segretario di Stato americano, Antony Blinken, sia con il ministro degli Esteri canadese, Marc Garneau. Il ritornello è sempre lo stesso che gli hanno messo in bocca fin dal primo momento, e di cui ormai si burlano i suoi stessi compari: “Fine dell’usurpazione, governo di transizione”.
Poi, i media internazionali si sono dilettati con le insulse dichiarazioni dell’autoproclamato circa le donne e l’8 marzo. Dimentica, il burattino degli USA, che a pochi mesi dalla sua autoproclamazione, l’8 marzo del 2019, lui e i suoi finanziatori hanno organizzato il micidiale sabotaggio elettrico contro il popolo venezuelano, e le più colpite dalle sanzioni sono proprio le donne. Che, però, in Venezuela, sono anche in prima fila nel difendere la rivoluzione bolivariana contro le aggressioni coloniali.