Una poeta contro il bloqueo. Intervista all’intellettuale venezuelana Giordana García Sojo

Una poeta contro il bloqueo. Intervista all’intellettuale venezuelana Giordana García Sojo

Geraldina Colotti

Invitiamo tutte e tutti a un incontro virtuale di poesia e impegno politico. Verrà presentato il 2 novembre alle 18.30, ora italiana, l’e-book, Poesia contra el bloqueo. Si tratta di un’antologia di 130 poeti cubani, italiani e venezuelani edita da Argolibri in Italia e da Vadell hermanos in Venezuela, e a Cuba da Coleccion Sur dell’Uneac, con il supporto della Rete degli Intellettuali in Difesa dell’Umanità (capitolo cubano), e il patrocinio del Festival Internazionale di Poesia dell’Avana.

Poesía contra el bloqueo – spiega il comunicato stampa di Argolibri – è la più grande mobilitazione di voci poetiche italiane, da Antonella Anedda a Fabio Pusterla, da Franco Arminio a Maria Grazia Calandrone, passando per Vivian Lamarque, Lello Voce e tantissimi altri, che si sia registrata dai tempi di Calpestare l’oblìo, antologia che fu pubblicata da Argo per contrastare il regime di Silvio Berlusconi e che fu portata in giro per l’Italia dando vita a parlamenti poetici itineranti, per mesi.

 

Alla presentazione di Poesía contra el bloqueo interverrà da Cuba: Alex Pausides (pluripremiato poeta, curatore della parte cubana dell’antologia, membro del Comitato organizzatore del Festival Internazionale della Poesia dell’Avana), dal Venezuela interverranno: William Castillo (Viceministro delle Politiche contro il bloqueo), Valentina Vadell (editrice venezuelana), Giordana Garcia Sojo (coordinatrice dell’antologia in Venezuela), Celenia Arreaza Montserrat e Arlette Valenotti (poete incluse nell’e-book), Nathaly Perez e Lionel Ruiz (cantautori-poeti). Coordineranno l’incontro Geraldina Colotti (curatrice e poeta), Gabriele Frasca (curatore e poeta), Valerio Cuccaroni (direttore editoriale Argolibri).

Le illustrazioni all’interno, sono dell’italiana Mara Polloni, dell’iraniano Hassan Vahedi, del cubano Arístides Hernández ARES e del venezuelano Edgar Guerrero.

La poesia italiana – conclude il comunicato – si schiera con tante voci diverse per una presa di posizione forte e radicale contro il blocco economico, mantenuto persino in piena emergenza Covid, imposto a nazioni come il Venezuela e Cuba semplicemente perché non corrispondono ai parametri del capitalismo senza scampo nel quale siamo immersi, e del quale rischiamo oramai di morire. L’incontro con la poesia cubana e quella venezuelana fa al contrario di questo eBook un esempio di quello che dovrebbe essere il dialogo fra i popoli.

Si può partecipare entrando da qui:  https://www.youtube.com/watch?v=RccY8fy3xX4

 e da qui:

https://fb.me/e/26jlxABSM

Intanto vi anticipiamo questa intervista con la poeta venezuelana Giordana Garcia Sojo.

Nonostante la giovane età, hai già un nutrito curriculum politico-culturale. Quali sono state le tappe più importanti della tua carriera artistica e politica?

Credo che nella mia vita ci siano due pietre miliari a segnare il mio percorso di lettrice, scrittrice (in formazione permanente) e promotrice culturale: l’incontro con Hugo Chávez Frías e la sua eredità di idee e opere per il Venezuela e il mondo; e la maternità di due bambine venute a confermare il desiderio o meglio la necessità di dover cambiare tutto.

Prima di Chávez, in Venezuela noi giovani non trovavamo veri e propri punti d’appoggio per radicare l’appartenenza a una comunità territoriale e spirituale. Il chavismo è stato un processo storico che ci ha portato ad essere veri soggetti sociali, a far parte di importanti trasformazioni attraverso l’azione e a dar forma a poco a poco a una batteria di idee originali, alimentate da diverse tradizioni di lotta e resistenza, ma con un proprio orizzonte. Personalmente, grazie al chavismo, mi sono dedicata a promuovere la scrittura e la lettura come diritti culturali, a partire dalla nostra Costituzione (avanguardia nella regione), e che è già pratica comune, oggi, nella società venezuelana, mentre vediamo come sia un epicentro simbolico e concreto delle rivolte giovanili in Cile, per esempio.

E la maternità, senza cadere nell’idealizzazione, tanto meno nella celebrazione biologica, mi ha spianato la strada verso me stessa, verso una visione femminista e anti-patriarcale, che sento mi ha aiutato a liberarmi da complessi, sensi di colpa, atteggiamenti competitivi e tutta quella caterva di valori negativi che il patriarcato ha dispiegato in tutto il sistema culturale occidentale, e che puntellano il capitalismo vorace che tanto dobbiamo combattere come esseri senzienti, come parte di qualcosa di più grande: una comunità, una storia, un pianeta.

Il tuo profilo evidenzia l’impegno nel promuovere la parola femminile, la libertà delle donne e il loro talento artistico. Quanto conta per te la differenza di genere, la lotta anti-patriarcale come asse fondamentale della lotta contro il capitalismo e l’imperialismo?

C’è una canzone meravigliosa e molto dura di John Lennon che dice «la donna è il negro del mondo, la donna è la schiava dello schiavo», lì Lennon (grande poeta) sintetizza magistralmente un problema fondamentale per l’umanità: la condizione sociale delle donne nel gradino più basso, quello su cui si sostiene il mondo con le sue disuguaglianze e miserie. Un uomo di colore povero soffre meno disuguaglianze e ingiustizie di una donna nera povera, è puramente e semplicemente e dolorosamente così. Questa realtà pervade tutto, è uno scandalo che non dovrebbe far dormire nessuno. Ecco perché Chávez ha detto – come altri e altre hanno detto prima – che nessuna rivoluzione è tale se non è femminista. Nel mio caso, come dicevo, essere madre di due bambine ha finito per convincermi della necessità del femminismo come lotta trasversale, non come roccaforte dell’identità tanto facile da usare e cooptare da parte dei discorsi ipocriti del “politically correct”, modello Obama o Clinton, no. Credo nel femminismo come substrato e stimolo di un nuovo orizzonte, persino un nuovo episteme, altri modi di relazionarsi come società tra di noi e con il pianeta, un nuovo sistema di valori che può disegnare un futuro vivibile per le prossime generazioni. In tal senso, ho cercato di rivoluzionare il mio lavoro di scrittura e promozione editoriale, anche di lettura, ora leggo molte più donne, cerco di pubblicarle, di dare visibilità a ciò che fanno, di tessere legami con loro, non solo nel presente, c’è una memoria storica che deve essere riparata, di centinaia e migliaia di scrittrici che non compaiono nelle classificazioni della tradizione e nel canone letterario, per esempio.

Hai svolto un ruolo importante ne El perro y la rana, una grande casa editrice dello stato bolivariano. Com’è stata quell’esperienza e qual è il tuo ruolo ora?

 

La casa editrice El perro y la rana è stata una delle mie scuole di vita e di professione. Lì ho fatto parte di un progetto per ideare e realizzare politiche culturali che garantissero il diritto di leggere e scrivere a milioni di persone. Milioni di copie di libri regalati nelle piazze e negli spazi pubblici di tutto il Venezuela, l’inserimento di centinaia di scrittori nel catalogo editoriale, oltre alla formazione di tanti giovani nel campo dell’editoria, non sono cosa da poco, ma immensa, e i frutti continuano a germogliare. La casa editrice El perro y la rana è un esempio dell’importanza del pubblico e del ruolo dello Stato nella cultura, senza nulla togliere alla diversità di voci, generi e formati pubblicati, anzi. Il mio ruolo ora è quello di continuare a editare e promuovere il diritto alla scrittura e alla lettura nel mio lavoro personale, sempre articolato con le politiche pubbliche che esistono per questo scopo, e avvalendomi degli strumenti acquisiti negli anni di gestione e produzione editoriale per El perro y la rana,  senza dubbio.

 

La cultura è stata e continua ad essere l’architrave della rivoluzione bolivariana, nonostante il feroce blocco che l’imperialismo impone a questo straordinario laboratorio di sperimentazione e speranza. In qualità di analista politica e partecipante alla piattaforma internazionale CELAG, qual è la tua opinione sulla situazione attuale? Quali sono le sfide, gli obiettivi, ma anche i ritardi e gli errori del processo bolivariano?

 

Il Venezuela ha subito una guerra sproporzionata, sistematica e ossessiva. Dal momento in cui Chávez ha vinto la presidenza, l’ordine è stato dato. Poi, non essendo riusciti a convincerlo a cambiare rotta, la guerra si è intensificata ed è arrivato il colpo di stato del 2002 e tutti gli attacchi di cui siamo a conoscenza (e molti altri che speriamo un giorno vengano declassificati) fino alla strana morte di Chávez. Da quel momento in poi, tutte le tattiche di guerra sono state triplicate e vengono sperimentate, anche nel bel mezzo della pandemia Covid-19, insieme ad altre forme di attacco, in quella che è stata chiamata «guerra ibrida» – io dico «guerra assoluta» – contro il Venezuela, una guerra che non è contro il governo, è contro tutto il Venezuela, perché ogni attacco colpisce il popolo venezuelano, sia i chavisti che quelli che non lo sono.

Nel campo delle politiche culturali, questa guerra ha colpito la dotazione di beni culturali come i libri stampati, gli scambi culturali internazionali, le produzioni discografiche e cinematografiche, il finanziamento di progetti culturali e artistici, ecc. Il che, tuttavia, non ha significato la paralisi della produzione culturale (sia nel senso ampio di cultura, che non si ferma mai, sia nel senso estetico e artistico di essa). Oggi, nel Venezuela assediato da tutte le parti, si tengono fiere del libro, incontri di scrittori e scrittrici, festival di poesia, spettacoli di teatro, danza e musica, forum di riflessione e azione, scambi di esperienze di mobilitazione popolare, solo per citare alcune delle attività che il Venezuela continua a sviluppare, sia dagli spazi pubblici che comunali, privati e misti. Chiunque vada un po’ oltre il gracchiare delle corporazioni mediatiche sul Venezuela può constatarlo.

Per quanto riguarda gli errori del processo bolivariano, credo che abbiamo abbassato la guardia nel rafforzamento e nell’inventiva nel racconto dell’alternativa sistemica, questo in parte a causa dell’assedio di guerra, ma anche a causa della nostra condizione di paese monodipendente dalla rendita del petrolio e il logoramento che tutto questo ha comportato. La cosa peggiore che può capitare a un popolo nell’attuale sistema-mondo è depoliticizzarsi, credere che le zone di comfort individuale, familiare o sindacale siano l’unica possibilità di realizzazione, questo porta immediatamente a cedere tutto il territorio (fisico e simbolico) al capitale e alla storia delle élite che lo gestiscono (così abili nel trasformare tutto in una nicchia di consumo). Credo sia urgente ripoliticizzare, nel senso più ampio e radicale (della radice) del termine, tornare al dibattito e al conflitto come incentivo all’incontro e non alla negazione dell’altro.

Al chavismo è toccata una delle opposizioni più fasciste e sfrenate della regione, perlomeno la leadership dell’opposizione ha mostrato un atteggiamento antidemocratico e depoliticizzante che avanza solo verso l’annientamento dell’altro, e non possiamo permetterlo. E uno dei modi più audaci per combatterla è promuovere il dibattito e la continua risemantizzazione della storia rivoluzionaria dalle file del chavismo e anche dalle adiacenze, perché no.

 

Hai partecipato all’antologia internazionale Poesia contro el bloqueo. Cosa ha significato per te questa esperienza e quale messaggio hai voluto trasmettere con la tua poesia?

 

Negli ultimi tempi, scrivere poesie è stato il modo in cui ho incontrato le mie paure e i loro incantesimi. Tuttavia, nonostante il fatto che la poesia sia un discorso così intimo e apparentemente ancorato all ‘»io», penso che sia anche un ponte emotivo ed estetico per riconoscerci come specie. Questo è forse il motivo dell’ascesa del genere poetico in tempi di distopia pandemica. La gente vuole dire e ascoltare il proprio sé, ripensare basi e travi che si credevano fissate, trarre dal fondo della terra qualche possibilità di un vero futuro. In tal senso, questo libro che riunisce tante voci dall’Italia, da Cuba e dal Venezuela è un necessario gesto di solidarietà, una cassa di risonanza per l’unità di quelli di noi che ancora credono che il mondo per come è debba e possa essere trasformato: debba andare dritto nell’abisso dell’estinzione. La pandemia ha anche mostrato un’urgenza: o cambiamo o ci estinguiamo, non è più una minaccia lontana, ma una realtà terribilmente vivida. La poesia ci fa incontrare con l’umanità incarnata nella parola, e in questo ci equipara, ci porta sullo stesso percorso di vita e di morte. Che i compagni italiani tendano questo tessuto di voci a incontrare sorelle e fratelli in lotta da paesi assediati come Cuba e Venezuela, è un segno che la vita continua a pulsare e richiede azioni comuni per difenderla.

La poesia che ho selezionato per l’antologia che ho scritto dopo l’assassinio di George Floyd a Minneapolis, negli USA, è un tamburo di guerra contro il suprematismo, vogliamo respirare, resistiamo in nome dei nostri morti, senza confini, dal magma che ci compone.

 

Il 6 dicembre il Venezuela voterà per la venticinquesima volta. Cos’è stata la rivoluzione bolivariana e cosa significa per te, sia come donna, come madre e come femminista, e come valuti queste elezioni, così ostacolate dall’imperialismo a livello internazionale?

 

L’ho detto prima, la nostra più grande sfida è combattere la depoliticizzazione come forma di resa o resa personale. Andare a votare significa ratificare il contrario, mettere in piedi l’alternativa comune che il chavismo significa, con i suoi errori o il suo logoramento, ma anche con i suoi successi, integrità e incredibile capacità di resistenza. L’abbiamo appena visto in Cile e Bolivia, il potere del cambiamento si disputa in tutti i modi possibili, uno di questi il più celebrato, è quello elettorale, non bisogna sprecarlo, a maggior ragione quando proprio il chavismo ha ridato senso all’atto del voto e lo ha trasformato in un vero diritto della maggioranza. Dobbiamo combattere il racconto assurdo che mostra il Venezuela come una dittatura e non segnala affatto agli eccessi e a massacri dei governi di destra vicini come Colombia e Brasile, per citare solo due casi terribili. Il voto del 6 dicembre ha quindi una doppia valenza: da un lato ripoliticizzare internamente e aprire spazi di confronto e, dall’altro, mostrare all’esterno il talento democratico e partecipativo garantito in Venezuela.